The Legacy of Uchiha Clan, Naruto (rosso)

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Kasra;
icon12  view post Posted on 9/1/2015, 19:57 by: Kasra;
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THE LEGACY of UCHIHA CLAN




Avevamo da poco superato il confine di Hi no Kuni (1) e mi era tornato un certo senso di nostalgia, ricordandomi di quando avevo dodici anni e giravo per il Paese del Fuoco per le missioni. Era un'altra vita, che non avrei mai potuto riavere. Chiusi un attimo le palpebre, con un sospiro impercettibile.
«Nandes'ka, Itachi-san? (2)».
Il mio compagno di viaggio interruppe solo per un attimo il filo dei miei pensieri.
«Nanimo… (3)».
Il viaggio proseguì.


___うちは 一 族 ___


Non sapevamo neppure cosa ci facevamo nel mio paese natio, Pein non ci aveva detto nulla dopo l'ultima estrazione del bijuu ed io e Kisame avevamo continuato ad attraversare le Terre Shinobi senza una meta.
Ormai erano le sette, ma il tramonto era ancora visibile dietro gli alberi. Le sfumature arancioni, rosse ed indaco del cielo estivo tingevano tutto il paesaggio, riflettendosi sui nostri volti. Strizzammo gli occhi e ci calammo il cappello sul viso, in modo che la luce serale non ci disturbasse.
Poco dopo scorgemmo dei tetti all'orizzonte ed affrettammo il passo, dirigendoci verso la città.
Nonappena varcammo l'entrata capii, con un'improvvisa stretta al petto, che ci trovavamo a Tanzaku. Konoha era solo a qualche kilometro più a est. Ero vicino a casa.
Percorremmo qualche stradina, attenti a passare inosservati e mi chiesi ancora una volta come mai gli abitanti non si insospettivano nel vedere le cappe dell'Akatsuki. Forse non conoscevano l'organizzazione, dopotutto, non era un villaggio ninja.
Ed eccoci davanti alla locanda. Mi piacevano quegli ambienti, sapevano di tranquillità e, soprattutto, di normalità. Io e Kisame sedemmo ad un tavolo poco in vista e una cameriera passò a prendere l'ordinazione.
Il saké e i dango arrivarono in fretta e potemmo finalmente mettere qualcosa nello stomaco. Non era molto, ma non eravamo abituati ad ordinare Yakitori o Soba.
Né io né lui parlammo, ascoltando invece le chiacchiere dei paesani sotto un sottile strato di fumo. Era una fortuna che viaggiassi con Hoshigaki, ero certo che, come Kakuzu, non sarei riuscito a fare coppia con un logorroico religioso qual'era Hidan. Per non parlare di Deidara, che alla prima occasione avrebbe approfittato della situazione per realizzare la sua brama della mia dipartita.

Se non fosse per gli scopi dell'organizzazione e per le ambizioni personali saremmo anche potuti diventare amici sul serio, in un mondo ideale. Immaginavo ciò che sarebbe potuto succedere, tra un guaio combinato da uno o dall'altro Akatsuki, ma per quanto divertente fosse non riuscivo a riderne. Non ci potevo sperare.
Terminati i dolci e gli alcolici lasciammo qualche ryo sul tavolo e ci alzammo per uscire. Scostati i teli, però, dovemmo fare un passo indietro all'istante: una ragazza ci era improvvisamente sfrecciata davanti, alle calcagna cinque o sei robusti omoni. Per terra, qualche frutto caduto nella fuga.
Non persi un attimo: attivai lo Sharingan e sparii in cima ad uno degli edifici, Kisame avrebbe controllato da sotto. Perlustrai con lo sguardo la zona circostante finché non la individuai in un vicolo: era spalle al muro, i tizi che si avvicinavano con le spranghe in mano.
Lei però non pareva spaventata, anzi, ghignava, come se si stesse divertendo. Poi, prima che gli inseguitori potessero fare alcunché, la ragazza rovesciò le mele che reggeva tra le braccia in un sacco di iuta abbandonato e si mise in posizione di combattimento.
Gli omoni la schernirono, ma il suo sorriso si allargò. Prima che quello che sembrava il capo terminasse l'insulto lei gli aveva già mollato un sonoro pugno sulla mascella. Riuscii a sentire il metallico suono delle ossa spezzate anche dalla mia locazione abbastanza distante. Be', forse perché avevo le orecchie tese al massimo per captare qualsiasi cosa.
Il gruppetto ritornò subito serio e arrabbiati si scagliarono contro di lei. I miei muscoli scattarono d'istinto, pronti a farli neri, ma con mia gran sorpresa schivò tutti gli attacchi, fece lo sgambetto ad uno, gli sfilò la spranga di mano e bastonò i due che la stavano per braccare, colpendoli giusto sulla nuca. Tramortiti, caddero a terra come l'altro compagno.
L'aria si riempì di tensione, poi un altro sferrò un pugno nella zona presso il viso della ragazza che gli afferrò il braccio e portandosi alle sue spalle passando sotto di esso, glielo stortò. Il tizio gemette di dolore e si accasciò contro il muro.

Era davvero brava, non ansimava nemmeno, il sorrisetto sempre al suo posto. Fece una finta e i due ceffi rimanenti scapparono via terrorizzati.
Lei ridacchiò, si ricompose, afferrò il sacco e se lo mise in spalla, avviandosi verso lo sbocco del vicolo.
La seguii dall'alto per tutto il tragitto, fino ad una delle casette nella periferia del villaggio. Era una costruzione che doveva ospitare al massimo due stanze e un bagno, rialzata su dei bassi pali in legno.
La ragazza salì la breve scaletta, appoggiò il sacco sulle tavole del portico e bussò tre volte.
La porta si aprì quasi istantaneamente, mostrando un ragazzino che doveva avere all'incirca dieci anni. Nonappena la vide gli scintillarono gli occhi e la abbracciò forte in vita.
«Okaeri, Nee-chan!».
Lei ricambiò il gesto d'affetto e gli scompigliò i capelli.
Chiusi gli occhi e mi voltai di scatto, disattivando lo Sharingan. Respiravo profondamente, cercando di rilassarmi, mentre i ricordi mi affollavano la mente.


«Niisan! Avevi promesso che mi avresti insegnato un nuovo jutsu con gli shuriken, oggi!».
Il mio otouto mise su un broncio adorabile. Odiavo ciò che gli avrei dovuto far subire, dopo tutto l'affetto, l'ammirazione e l'invidia che trasudavano dai suoi occhi color notte.
Mi concessi un sorriso e lo chiamai a me con la mano. Il suo sguardo si accese di entusiasmo, le labbra piegate all'insù. Si lanciò verso di me, pronto ad abbracciarmi, ma prima che mi raggiungesse lo colpii in fronte con due dita, lasciandolo di sasso, ma senza abbandonare il sorriso.
«Yuruse, Sas'ke. Mata konto da».



All'improvviso sentii una mano toccarmi la spalla, ma non sussultai.
«Itachi-san, Daijoubu ka? (4)».
Annuii senza guardarlo.
«Fermiamoci qui per la notte. Sono stanco».
Un lieve spostamento d'aria mi fece capire che aveva fatto un cenno d'assenso.
«Va bene».


___うちは 一 族 ___


Il mattino dopo mi svegliai col sorgere del sole. Strizzai gli occhi, mettendomi lentamente a sedere, cercando di rendere la stanza meno sfocata, ma senza riuscirci. La mia vista stava peggiorando.
“Kuso”
Mi guardai intorno, ma di Kisame non c'era traccia, apparte un foglietto in cima al suo futon ripiegato.

Samehada aveva fame. Quando vuoi riprendere
il viaggio vienimi a cercare verso ovest.


Non mi andava giù che Hoshigaki andasse in giro ad uccidere persone per nutrire la sua spada, ma non potevo farci nulla. Dopotutto, non potevo neppure permettermi di contestarlo, visto che io avevo fatto molto di peggio.
Abbandonai quel pensiero sconclusionato con un sospiro e mi stiracchiai, alzandomi in piedi.
Mi rivestii, ripiegai il futon e scesi nella hall, pagando per la notte e ringraziando per l'ospitalità.
«Mata irasshai (5)», mi sentii dire prima di uscire.

Per strada c'era già qualcuno, pur essendo presto. Non sapevo cosa fare, perciò girai a vuoto, cercando di non farmi venire in mente pensieri spiacevoli, tenendo la mente sgombra.
Senza che me ne accorgessi si era fatto mezzogiorno, così mi fermai a mangiare del sushi, contando di raggiungere Kisame nel pomeriggio.
«Gochisoo-sama deshita (6)».
Lasciai altri ryo sul tavolo e mi avviai all'uscita di Tanzaku, di nuovo sovrappensiero, ma senza pensare davvero a qualcosa.

SBAM!

Stavo girando l'angolo quando mi scontrai con qualcuno proveniente dal verso opposto. Barcollai all'indietro, ma il malcapitato cadde a terra. Scossi la testa e mi voltai per scusarmi, ma quando vidi di chi si trattava mi morirono le parole in bocca.
Era la ragazza di ieri. Non c'era dubbio. Al momento si stava rialzando sbattendosi via la polvere dai vestiti sgualciti.
Infine, alzò gli occhi su di me. Ancora non riuscivo a parlare. Lei sorrise.
«“Gomennasai (7), signorina. Non intendevo farla cadere. Daijoubu des'ka?”», mi prese in giro.
La sua voce era calda, allegra e con una vena di malizia. Si accordava perfettamente col carattere che aveva mostrato il giorno prima.
«Ti ho tolto le parole di bocca, vero?», continuò divertita, continuando a sfottermi.
A quel punto mi indispettii, ero un Uchiha, dopotutto.
«Ehi! Piuttosto dovevi stare attenta tu a dove mettevi i piedi».
Rise, di una risata serena e quasi strafottente.
«Adesso è colpa mia?».
Mi fissò, ancora quel tono malizioso, stavolta rispecchiato anche nei suoi occhi cerulei. Le lunghe ciglia ed il viso dai tratti morbidi tradivano, senza dubbio.
Non risposi, continuando a guardarla da sotto il cappello, il quale, un istante dopo, sparì dalla mia testa, visto che l'aveva fregato e se l'era messo sotto braccio.
Le lanciai uno sguardo d'accusa, ma lei mi sorrise nuovamente. Quei sorrisi mi facevano quasi star male, non ne vedevo da troppo tempo, rivolti a me.
«Scusa, mi piace guardare in faccia le persone con cui parlo».
Mi guardò ed una scintilla attraversò le sue iridi.
«E poi, sei anche un gran figo, sai?».
Rise di nuovo. Mi prendeva continuamente in contropiede.
«Mi ridaresti il cappello, per favore?!», replicai senza rispondere al complimento lusinghiero.
Lei fece finta di pensarci su un attimo, poi riportò di nuovo l'attenzione su di me.
«Mmh, no. Non ne ho voglia. Facciamo così: prima ti fai perdonare e poi te lo restituisco, ok?».
E mi tese la mano.
Incrociai ancora il suo sguardo, cercando di capire cosa volesse davvero, ma non mi andava di preoccuparmi di altro. Almeno per un po'.
Così, riservatole un ghignetto, le strinsi la mano, scoprendo con piacere quanto fosse calda e morbida.
«Itachi desu. Douzo yoroshiku (8)».
Lei sorrise.
«Sono Elisa. Felice di conoscerti, Itachi», si presentò, calcando bene sul mio nome, aggiungendovi la solita nota che avevo imparato a classificare come maliziosa.


___うちは 一 族 ___


Ancora non avevo ben chiaro cosa intendesse per “farmi perdonare”, ma non vi davo più di tanto peso. Avevamo passeggiato per tutto il pomeriggio, parlato e anche cenato fuori Tanzaku con degli onigiri presi d'asporto. Era di nuovo il tramonto, giusto un po' tardi, forse. Era piacevole passare il tempo con lei, dopo mesi - no, anni – di lavoro sporco per l'organizzazione. Kisame poteva aspettare.
“Esattamente un giorno da che l'ho vista per la prima volta”, pensai mentre frugavo nel bosco per cercarla. Non sapevo il perché ma adorava gli scherzi ed aveva insistito per giocare a nascondino nella foresta. Credevo non ci sarebbe stato nulla di esaltante, invece con mia gran sorpresa mi sentivo tranquillo come non lo ero da prima di ricevere quel dannato ordine, nove anni fa.
Stavo attento a percepire ogni singolo suono o fruscio, ma non avevo attivato lo Sharingan. Volevo che fosse un giorno normale, senza mukenin S-rank o jinchuuriki da catturare.
A parte le cicale che frinivano nei pressi di uno stagno, la selva era placida e quieta. La ragazza era davvero abile in certe cose. Mi stavo dirigendo verso sud, dove il bosco si riuniva alle radici delle montagne. Ci eravamo distanziati parecchio da Tanzaku e vista l'ora, l'unica fioca luce proveniva dalla luna.

All'improvviso sentii un frusciare accanto a me. In un secondo scattai in posizione da combattimento, il kunai stretto nella mano. Scrutai le ombre, cercando di capire cosa fosse stato e alla fine uno scoiattolo uscì dal fogliame e scappò via.
Mi rilassai, pronto a continuare la ricerca, ma mentre riponevo l'arma venni di colpo atterrato al suolo, un peso che mi teneva schiacciato a terra, il viso premuto contro il terriccio umido. L'aggressore mi teneva le braccia bloccate dietro la schiena. Mi dimenai, ma non risolsi nulla. In condizioni normali me lo sarei scrollato di dosso nel giro di niente, ma non avevo voglia di combattere.
E poi sentii una risata familiare.
«Ahahah, dovresti vederti, Ita-chan! Ti sei fatto fregare come un baka!».
Era lei. Assurdo che non l'avessi percepita. Però riudirla dopo quella mezz'oretta passata a brancolare nel bosco mi fece sentire strano. Era la stessa sensazione di quando avevo dieci anni e tornavo a casa da una missione: Sas'ke mi correva incontro e mi abbracciava fortissimo, come se fossi la persona più importante della sua vita, e mi dava il bentornato con mamma e papà. In quei momenti sentivo di volere un gran bene a tutti.
Per qualche strano motivo, con Elisa mi accadeva lo stesso. Forse era per il suo buonumore, forse perché semplicemente non mi temeva come chiunque altro, non mi odiava.

“Arigatou”, pensai sorridendo.
«Lo sai che hai perso, vero?», la sbeffeggiai, voltandomi per quanto possibile verso di lei. Continuavo a non vederla.
«Non direi. Ci stavi mettendo troppo e mi stavo annoiando».
Mi indispettii.
«Sei molto abile a nasconderti», mi complimentai, deviando il discorso.
«Grazie», fece lei, la voce piena di falsa modestia.
«Pfff … », sbuffai. Lei però non sembrava intenzionata a farmi alzare.
«Ehi, Itachi».
Il tono era ambiato, più tranquillo e serio, ma sempre malizioso. Non riuscivo a capirne il motivo. Forse era semplicemente il suo modo di parlare, affatto intenzionale.
«Sì?». Parlai con altrettanta calma.
«Visto che prima ti è andata male, che ne dici se vediamo chi è il più veloce?».
Riecco la risata allegra e rassicurante. Non mi diede nemmeno il tempo di replicare che si era alzata dalla mia schiena e si era messa a correre.
Mi alzai di scatto e cominciai ad inseguirla, rapidissimo. La sentivo ridere, in testa teneva il mio cappello, i campanellini che tintinnavano. Saltava e schivava tronchi, cespugli e le fronde più basse con una naturalezza incredibile. Rimasi un attimo, rallentando la corsa. Lei si voltò per saggiare il distacco.
«Ahahah, troppo lento!». Mi fece una linguaccia e proseguì.
Mi riscossi, ghignai ed accelerai il passo.
Ad un tratto Elisa attraversò un arco di rami e sparì dalla mia vista. Un secondo dopo li superai anch'io e mi ritrovai nello spiazzo di un laghetto. Non persi tempo a guardare il paesaggio: lei si distrasse un attimo e la agguantai in vita - la stretta un po' più forte di quanto avrei volto per via del contraccolpo – ed il copricapo cadde a terra con uno scampanellio.

La guardai dritta negli occhi, seriamente. Le sue iridi chiare erano ipnotizzate, la bocca semidischiusa. Soffiò una folata di vento che scompigliò i capelli di entrambi. Era davvero bella. Inclinai d'istinto il volto verso di lei, spinto dal desiderio irrefrenabile di baciarla, senza curarmi delle conseguenze. Lei chiuse le palpebre, venendomi incontro.
Kami, era una vera e propria tentazione …
“Itachi … non fare cose di cui potresti pentirti …”
All'ultimo secondo, quando ormai sentivo il suo fiato caldo sulle labbra, riuscii a recuperare un briciolo di lucidità e mi spostai verso il suo orecchio.
«Ho vinto io».
La sentii gemere e poi aprì gli occhi, contrariata.
Mi tornò un sorrisetto ironico che sembrò rilassarla, infatti poco dopo le era già tornato il buonumore e la scintilla di malizia nello sguardo.
«Ah, ma davvero?».
“Cos'avrà in mente ora?”, mi domandai senza preoccuparmene realmente.
Senza scostarsi minimamente mi posò una mano sul petto, sfiorandolo sensualmente attraverso la maglia a rete, l'altra cinse la mia e cominciò a camminare all'indietro.
Il contatto mi stordì per un secondo, ma l'elettricità che c'era non era svanita: la sentivo attraverso la pelle, in un brivido continuo, impercettibile per lei, e la seguii ammaliato.
Ora eravamo alla riva del lago. La luna e le stelle si riflettevano sul nero e lucido specchio d'acqua, tremolanti, mentre la cascata poco più avanti si gettava con fragore nella pozza, la schiuma che ribolliva sulla superficie.

Riportai l'attenzione sulla ragazza e notai che osservava il paesaggio davanti a noi, sorridendo serena. Le mie labbra si piegarono all'insù d'impulso, come una calamita. Lei sorrideva, io sorridevo.
Tornò a guardare me.
«Ti sfido a tuffarti», esordì quasi con solennità.
“Nani?!”
«Ahahah, e perché?», chiesi ilare.
«Perché no?».
Fissai la sua espressione beffarda, per poi sbuffare in modo teatrale e mi sfilai la maglia in modo volutamente provocatorio, allungando i muscoli del busto. Nel momento in cui la stoffa mi coprì il volto attivai lo Sharingan, giusto in tempo per scorgere la voluttà sul suo viso e ghignai tra me e me.
Terminato, la gettai a terra, slacciai i sandali, i pantaloni e guardai Elisa con un'occhiata di sufficienza, nei suoi occhi ancora un lampante desiderio.
Mi allontanai, salii su un piccolo scoglio e mi tuffai, ritrovandomi subito nell'acqua, sorprendendomi di quanto poco ghiacciata fosse. Nuotai un po' sotto la superficie, rinfrescandomi, per poi darmi una spinta con le gambe ed infrangendola nuovamente, avvicinandomi alla riva, senza però arrivare a toccare il fondo.

«Allora? Non vieni?», la schernii.
«Ti piacerebbe», rimbeccò lei.
Rise, si sfilò i pantaloncini, la maglietta leggera e sbrindellata e fece qualche passo indietro, cominciando a correre, e saltò.
Qualche secondo in aria, uno splash, schizzi ovunque e mi raggiunse con un tuffo a bomba. Ed eccola accanto a me, ridente, tenendosi a galla.
«Complimenti», mi congratulai allegro.
Ci guardammo ancora, sorridendoci.
Mi tornò in mente il pensiero che avevo formulato poco prima, il bisogno di esprimere la mia gratitudine per tutto ciò che stavo provando.
Come se mi avesse udito, mi abbracciò. Forte. Rimasi come pietrificato, senza capire.
«Grazie».
Stupore. Profondo.
«Perché?».
Lei scosse la testa e strinse ancora di più.
«Grazie, Itachi».
Non seppi ma il motivo di quelle parole. In quel momento ricambiai semplicemente l'abbraccio, cingendole i fianchi sottili, accarezzandole la pelle morbida, affondando una mano nei suoi capelli umidi.
Avrei voluto rimanere così, ma sentivo l'esigenza di fare una cosa, prima. Accontentare entrambi.
«Eli … », la chiamai.

Lei si tirò più su, per guardarmi in faccia e la baciai, attirandola ancor di più – per quanto possibile – a me. Muovevo le labbra con decisione, succhiandole, gustandone la morbidezza. Non sembrava che attendesse altro. Rispose al bacio con coinvolgimento, leccandomi le labbra sensualmente. Intercettai la sua lingua con la mia ed intrapresi un gioco languido ed eccitante, mentre nuotavo verso la riva. Le sue labbra erano deliziose, soffici ed invitanti e non persi un istante per saggiarle ed assaporarle quanto più potevo.
Respirare non era necessario. Dovevamo solamente soddisfarci.
Finalmente approdammo, senza parlare, lasciandoci andare alle emozioni. Le accarezzavo i fianchi, sentendola rabbrividire e giunsi alle mutandine, che sfilai subito, facendole sollevare le gambe. Lei seguì i miei movimenti, puntellandosi sui gomiti, permettendomi di slacciarle anche il reggiseno e dimenticarlo da qualche parte vicino a noi.
Ad un certo punto fui costretto a riprendere fiato, così lasciai le sue labbra, sciogliendo anche l'intreccio delle lingue, ma cercando di prolungare il momento continuando a lambirne la punta.
Scesi sul collo, succhiando avidamente, mentre le mie mani scorrevano sul suo corpo, indirizzando la loro attenzione sui capezzoli.
La sentivo ansimare rocamente, suoni di puro piacere che non facevano che aumentare la mia eccitazione, le sue dita tra i miei capelli che mi trattenevano.

Lasciai quel lembo di pelle morbida marcandolo visibilmente e raggiunsi i seni tondi, pieni e sodi, decisamente parecchio appetibili. Rimasi a guardarla con bramosia per poi sostituire la bocca ai polpastrelli.
Presi un bottoncino di carne tra le labbra, mordicchiandolo di tanto in tanto, cominciando ad ondeggiare su di lei, strusciando la mia erezione contro la sua coscia, cercando di darmi sollievo.
«Kami, Itachi … ah! … ».
La sentii inarcarsi sotto di me e gemetti mentre mi dedicavo all'altro capezzolo.
Eravamo avvolti dalla lussuria, desiderosi di avere sempre di più. Sentii le sue mani spostarsi lungo la mia schiena, fino a raggiungere le mie natiche e cominciando a palparle con vigore.
Inconsciamente, sfregavo contro di lei con più vigore, tuttavia le sue mani non restarono la lungo; afferrarono il bordo dei boxer e liberarono la mia virilità, cominciando a masturbarmi.
«Cazzo, E – li … », soffocai un gemito mentre scendevo lungo il suo ventre, le violavo l'ombelico con la punta della lingua e scendevo ancora …
Giunto alla sua femminilità esitai un attimo, prima che mi spingesse il capo. Così cominciai a baciarla e lapparla.
«Ita … chi … sì … ah … ».
Non cercava nemmeno di nascondere la voce goduriosa, era la cosa più eccitante del mondo. Accordava i movimenti della mano ai miei, stringendo di più o di meno a seconda del piacere che provava.

Più continuavamo più ci desideravamo. Le sollevai le gambe e la penetrai con la lingua.
«Aaaah! … Oddio! Itachi! … Aaaaah … sei … ».
Non finì la frase, un altro lungo gemito le impedì di parlare, mentre continuavo a prepararla.
Basta, non ne potevo più. Volevo prenderla. Adesso.
Lei però non sembrava dello stesso avviso: nonappena mi separai dalla sua intimità ribaltò le posizioni, sedendosi sulle mie cosce. Non mi diede neppure il tempo di capire ciò che stava succedendo che aveva già preso in bocca il mio membro, fino alla base, e succhiava forte.
«Aaah … Eli …. ! … ».
I miei propositi andarono momentaneamente a farsi benedire, mentre il mio cazzo spariva e rispuntava dalle sue labbra, e le sue dita mi torturavano i testicoli senza un attimo di tregua.
Stavo per venire … troppo presto …
«Aaah … Eli ... bas- … ».
Gettai la testa all'indietro, stringendo i denti. Com'era possibile che sapesse esattamente cosa fare per portarmi alla follia?
Alla fine decise di darmi ascolto, sollevando il capo con un ghignetto e si leccò lascivamente delle gocce pre-orgasmiche dalle labbra.
Ogni suo gesto era atto a provocarmi. Grugnii, sentendo che mi stavo indurendo ulteriormente.
“Va bene, è abbastanza!”
Un colpo di reni e fu di nuovo sotto di me. Mi avvolse languidamente le gambe ai fianchi, mentre prendevo in mano il mio sesso pulsante e la posizionavo alla sua entrata.
E poi, spinsi.

Le nostre voci si armonizzarono in un lungo gemito di puro piacere. Sentivo il suo corpo caldissimo contro il mio, mi avvolgeva da ogni parte e l'unica cosa che volevo era insinuarmi in lei più velocemente e più a fondo possibile.
Elisa infilzò le unghie nelle mie spalle, la percepivo contrarsi, mentre con la coda dell'occhio vidi i suoi capezzoli svettanti, l'espressione goduriosa … lo presi come un via libera, così uscii lentamente e rientrai, quasi trattenendo il respiro. Un altro ansito lungo e voglioso.
Cominciai a stabilire un ritmo, entravo ed uscivo mentre lei mi veniva incontro, la sua voce che emetteva suoni assolutamente indecenti.
Ero pervaso dal più rosso e puro piacere, sentivo il mio cazzo indurirsi sempre di più, volevo sempre di più …
«Itachi! … Sì … aaah … più forte! … ».
Le sue parole mi giunsero alle orecchie rotte e rapide come un tornado, quasi incomprensibili, ma le capii e feci convergere un po' di chakra nei fianchi – come feci a concentrami non ne avevo idea – e spinsi di nuovo.
«Aaaah! … Dio! … », proruppe.
Probabilmente avevo centrato un punto erogeno.
«Aaah! Ancora … Itachi … ! … », mi incitò.
La accontentai con un colpo più forte, la sua voce rotta dagli ansimi.
Ad un tratto mi cinse il collo, attirandomi alla sua bocca, ingaggiando subito una lotta umida ed appassionata con la mia lingua, che morsi, succhiai ed assaporai con frenesia.
Il bacio infiammato era rotto solo dal bisogno ricorrente di aria, sembrava che mi stesse divorando, e – allo stesso tempo – che fosse il pasto più invitante del mondo.
Cominciai a sentire qualcosa di umido dalle parti del pube, ma non mi fermai.
Elisa continuava a chiamare il mio nome, che mai aveva avuto un suono tanto erotico, mai.
«Itachi … », gemette lasciva.

Tornò ad aggrapparsi alle mie spalle, ma anziché usarle come appiglio, mi spinse indietro, inclinandosi su un fianco. Persi l'equilibrio cadendo sulla sabbia bagnata, un moto di frustrazione mi pervase quando uscii dal suo corpo caldo. Lei ghignò, e subito, spiazzandomi, si risedette sul mio internocoscia, impalandosi e sospirando un lungo gemito, la testa gettata all'indietro. Ansimavo con lei, mentre mi cavalcava ed io le andavo incontro, per quanto possibile vista la posizione, le mani che dai fianchi scesero a palparle le natiche sode.
Il ritmo si fece sempre più frenetico ed irregolare, eravamo assordati dai nostri rochi sospiri, la pelle madida di sudore. Sentivo l'orgasmo avvicinarsi ad una velocità incredibile, e decisi di avvertirla.
«Eli … esci, sto … per ... ».
Lei mi piazzò un dito sulle labbra e continuò a muoversi su di me, gemendo.
«Vienimi … dentro … aaah! … ».
Il dito rimase lì, così lo presi tra le labbra e cominciai a succhiare con voglia, mordicchiandolo.
Una spinta, due, ed il piacere esplose.
Venni in lei abbondantemente, vedevo il mio seme colare verso i testicoli, mentre anche lei si liberava con un lungo ansimo, insieme all'espressione di estremo godimento che le si dipinse in volto.
«Aaaaah! … ».
E poi per poco non mi crollò addosso. La presi tra le braccia, stringendola forte, protettivo, incurante del liquido viscoso ed appiccicaticcio di cui ci eravamo bagnati, posandole un bacio casto sulle labbra leggermente dischiuse.
Il nostro respiro si sforzava di farsi più regolare, la luna e gli astri più luminosi del solito che parevano ammiccare nella nostra direzione.
Elisa mi avviluppò una gamba tra le sue e rise piano.
«Ti ripulirei da questo macello, ma credo che siamo entrambi esausti per un altro round».
Capii l'allusione e ammisi che non aveva tutti i torti.
«Itachi … sei un vero Dio del Sesso!», si complimentò con un'altra risata.
«Modestamente … ». Mi unii al suo buonumore, felice e spossato. «Sei stata … fantastica. Scusa per la banalità, ma mi gira troppo la testa per pensare ad un aggettivo migliore. Forse hai superato gli standard del vocabolario».
«Ahah … ma tu guarda … », commentò.
Rimanemmo in silenzio, abbracciati ad osservare le stelle sopra di noi, finché non fummo presi dal torpore e ci addormentammo.


___うちは 一 族 ___


Nonappena mi risvegliai sentii le braccia vuote. Spalancai gli occhi, allarmato, lo Sharignan attivo, e scattai a sedere. Ebbi un momentaneo giramento di testa per la repentinità dell'azione e mi ressi il capo guardandomi intorno. Alla fine la vidi seduta su uno scoglietto, intenta a mangiare qualcosa. Aveva di nuovo i vestiti addosso.
Mi tranquillizzai e disattivai il jutsu oculare, alzandomi in piedi, e la raggiunsi.
Sentendo i miei passi sull'erba lucida di rugiada, si girò e mi sorrise.
«Ohayou!», e portò alla bocca una fragolina. Doveva essere andata a prenderle nel bosco prima che mi svegliassi. La osservai mentre masticava e non potei fare a meno di pensare che sarebbe stato bello svegliarsi la mattina e vedere il suo sorriso.
«'Giorno», risposi, cingendola da dietro e dandole un bacio sul collo, lascivo, per poi risalire succhiando lievemente quella pelle dolce e morbida. Lei si voltò verso le mie labbra, ma un secondo prima che me ne appropriassi mi ficcò una fragolina sotto i denti.
«Itadakimasu!», scherzò, dandomi un bacio a stampo prima di scostarsi, stiracchiarsi e dirigersi verso un punto alle mie spalle.
Rimasi stupefatto, per poi ridacchiare ed ingoiare il frutto dolce, scoprendo di avere una leggera fame.
Ne mangiai un altro paio, mentre Elisa faceva ritorno. Mi girai a guardarla e notai che reggeva in mano il cappello.

All'istante mi si gelarono sia il sorriso che il sangue nelle vene, persino lei era diventata seria.
Me lo mise in testa, le labbra lievemente tese all'insù, malinconiche.
«Sei riuscito a farti perdonare».
Il mio sguardo era allacciato al suo, sconvolto. Sapevamo entrambi cosa significava: era il momento di lasciarci. Non avevo bisogno di rifletterci per capire come mai fosse tanto difficile.
Le presi delicatamente il volto tra le mani e la baciai con dolcezza, muovendo le labbra con calma, assaporando le sue, mentre lei ricambiava, senza approfondire.
Quando ci separammo tornai a guardarla negli occhi.
«Aishiteru (9)».
Mi alzai, andando a rivestirmi con un macigno nel petto. Faceva male. Era la stessa, orrenda sensazione di quando avevo realizzato che non c'erano alternative all'ordine di Danzo. Forse appena meno terribile.
Finito di indossare anche la cappa dell'Akatsuki, sospirai e mi voltai. Non piangeva. Mi riavvicinai a lei, sfilandomi il copricapo e lo posai sui suoi capelli.
«Tienilo tu, questo».
Annuì, senza sciogliere il contatto visivo. In quelle iridi chiare potevo leggere i miei stessi sentimenti.
«Arigatou».
Finalmente riuscivo a dirglielo. Sembrò capire e si alzò in punta di piedi per baciarmi ancora, leggera.
«Itterasshai (10)». Abbozzò un sorriso, che ricambiai, anche se sapevamo entrambi che non ci saremo rivisti.
Così mi voltai, pronto per raggiungere Kisame e adempiere al mio destino.


___うちは 一 族 ___


Un anno dopo, Tanzaku

«Nee-chan, credo che Shisui abbia fame», borbottò un ragazzino a quella che evidentemente era sua sorella maggiore.
«Nh», fece quella. Prese in braccio il pupo dalla culla, posandogli un affettuoso bacio in fronte e sorridendogli.
«Non piangere, piccolo», sussurrò dolce, asciugandogli le lacrimucce dagli occhi e portandolo al seno.
Il bimbo succhiò avidamente, mentre la madre faceva una smorfia per la bramosia del cucciolo.
Era un bel bambino, dagli occhi e capelli scuri come la notte, e la giovane donna lo adorava, ricordandole l'uomo che gliel'aveva donato.
All'improvviso le venne voglia di farsi un giro in città, o anche fuori. Così, tenendolo in braccio ed indossando un ampio cappello con dei campanellini, uscì seguita dal fratello minore.
Era una bella giornata tardo-primaverile, il visino del bebè si illuminò e sorrise divertito e raggiante.
I tre attraversarono le strade di quel piccolo ma dinamico villaggio, salutati ogni tanto dagli altri paesani.
«Nee-chan, vado a fare la spesa», fece il ragazzino. La sorella annuì e proseguì nella passeggiata, che la portò davvero ad uscire dalle mura, senza una meta precisa, mentre lei e il bambino si godevano il calore sulla pelle.
Ad un certo punto, ai margini del suo campo visivo spuntò una figura che pareva diretta verso est. Anche da quella distanza i capelli scuri come la pece erano perfettamente riconoscibili, forse giusto più corti...

Incuriosita, la donna si avvicinò abbastanza da poter scorgere degli occhi infiammati e dei tratti del viso tremendamente familiari.
“Non può essere …”
La giovane stentava a crederci. Senza rendersene conto aveva aumentato il passo tanto da correre.
«Itachi!», chiamò.
All'improvviso la figura si fermò, voltando il capo nella direzione della ragazza e in un secondo fu dietro di lei, una mano che stringeva un braccio di lei con forza.
La donna strinse i denti per il dolore, ma non emise alcun suono.
«Chi sei?». La voce era fredda, dura e scostante, faceva paura. Ma la ragazza non rispose, anzi, gli rivolse un'altra domanda.
«Non sei lui, vero?». Il tono era deluso, quasi accusatorio.
«No. Lui è … morto». L'altro lasciò la presa. Lei si girò a guardarlo attentamente. Gli occhi erano ancora rossi, inquietanti.
«Tu sei Sas'ke», affermò con sicurezza.
Quello assottigliò lo sguardo, sospettoso.
«Io sono Elisa. Sono stata con tuo fratello … tempo fa», si presentò senza curarsi di essere stata troppo diretta.
Certo, Itachi non le aveva detto nulla di sé, però l'aveva sentito parlare nel sonno. Anche troppo. Si era sentita in colpa, e avrebbe voluto aiutarlo in qualsiasi modo pur di fargli scordare l'orrore di quei ricordi, di farlo sentire più leggero e di nuovo felice. Ma non ne aveva avuto l'occasione.
In ogni caso, le parole che Itachi aveva pronunciato nello stato di incoscienza erano state abbastanza per farle capire che era lui, quel tipo di fronte a lei, ad averne decretato la morte. Al pensarci si infervorò sentendo istintivamente un profondo odio nei confronti dell'altro, appena stemperato solamente perché gli assomigliava.
Si sentiva tremare. In quel momento Sas'ke sembrò notare il fagotto che lei reggeva tra le braccia e parve capire. Gli occhi tornarono di un color onice imperscrutabile.
«Ha ridato vita al clan», borbottò.

Elisa si accigliò. Strinse per bene Shisui e mollò un pugno dritto in faccia a Sas'ke, che non aspettandoselo barcollò all'indietro, attivando nuovamente lo Sharingan.
«STRONZO BASTARDO!», gli urlò contro lei, addolorata. Avrebbe voluto ucciderlo, ma sapeva che Itachi non avrebbe approvato. Di certo però non si sarebbe trattenuta dal picchiarlo più che poteva.
«L'HAI AMMAZZATO TU, BRUTTO FIGLIO DI … », mollava fendenti ovunque riuscisse ad arrivare, finché Sas'ke non la fermò di nuovo.
«Stiamo soffrendo in due», disse.
«PER COLPA TUA!», ruggì lei, rossa di rabbia, scostandosi bruscamente dalla presa.
Un pianto li distrasse e la donna riportò gli occhi su Shisui, abbracciandolo forte, sussurrandogli parole di conforto. Poco alla volta il piccolo si chetò ed Elisa se lo strinse al petto, per poi tornare a guardare rancorosa il ragazzo di fronte a lei.
«Non ti perdonerò mai, neppure se è stato Itachi stesso a decide di morire per mano tua!», sibilò tagliente, senza distogliere il contatto visivo.
Nello sguardo del suo interlocutore sembrò passare un lampo di rimorso, ma non disse niente e lei gli diede le spalle, diretta a Tanzaku.
Sas'ke la osservò allontanarsi, per poi riprendere il cammino. Quella ragazza aveva perfettamente ragione: era stato stupido, infantile ed egoista, ma era stata la volontà di Itachi e l'aveva rispettata ed accettata.
Ripensò a quei luridi vermi che avevano ordinato la strage degli Uchiha, coloro che stava andando a distruggere insieme al loro villaggio corrotto ed il sangue gli ribollì nelle vene.
Ripensò a Danzo, che aveva oltraggiato il clan impossessandosi del loro Sharingan e percepì la voglia di vendetta riaccendersi dopo lo stupore per l'incontro precedente.
Pensò che se Itachi aveva ripopolato il clan a lui non restava che farla pagare ai mandanti dell'uccisione.
Ed infine gli soggiunse la dichiarazione che Naruto gli aveva fatto a Tetsu no Kuni (11) e capì che la sua fine non poteva che essere altrimenti.
Così, con un sospiro storto, proseguì il viaggio, pronto ad affrontare l'amico per l'ultima volta.


«Yuruse Sas'ke. Kore de saigo da».



おわり~




1: Paese del Fuoco
2: Cosa c'è, Itachi?
3: Niente
4: Itachi-san, stai bene?
5: Tornate a trovarci.
6: Grazie per il pasto
7: Mi perdoni
8: Lieto di conoscerti
9: Ti amo
10: Buon viaggio
11: Paese del Ferro
うちは 一 族 : Clan Uchiha


Link EFP nel titolo
 
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