Bijutsu wa..., Naruto (rosso)

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icon12  view post Posted on 9/1/2015, 19:47
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Bijutsu wa...






“Maledetto quel Kakashi e maledetta pure l’Akatsuki!”
Deidara era particolarmente nervoso. Da giorni camminava senza sosta verso il villaggio più vicino, con quel dannato braccio fuori uso.
Come fosse uscito dal Kamui dell’Hatake non voleva saperlo, gli bastava essere ancora in vita per potersi vendicare. La cosa che più lo mandava ai pazzi però era che ancora una volta un doujutsu aveva battuto la sua arte, la sola che valesse la pena di essere venerata!
Non vedeva l’ora di riprendere possesso del suo braccio maciullato ed aveva supposto che ci avrebbe pensato Kakuzu – Kami, quell’uomo certe volte era davvero inquietante! - e invece no! Lui e quel fanatico religioso ed irritante del suo compagno erano in missione, quindi avrebbe dovuto cavarsela da solo, ricorrendo ai vecchi metodi. Il giorno in cui Kakuzu avrebbe anteposto una qualsiasi cosa ai suoi amati soldi sarebbe crollato il mondo, ne era certo.

Finalmente entro sera scorse dei tetti all’orizzonte e nel giro di mezz’ora giunse alle porte di un villaggio anonimo. Non sapeva se vi vivessero ninja o meno ma non gli andava di vanificare tutti i suoi sforzi quindi per evitare problemi lasciò coprifronte e cappa nel cavo di un albero.
Si era rifiutato di pensare che l’ospedale di un minuscolo agglomerato come quello fosse al completo ed aveva avuto ragione. Tuttavia non si aspettava che il chirurgo fosse occupato, perciò per finire a sua volta sotto i ferri avrebbe dovuto aspettare. La sua espressione omicida doveva dirla lunga, perché la centralinista gli diede una camera nel giro di niente, accompagnandolo persino all’ingresso del corridoio dove avrebbe alloggiato ed avvertendo il reparto.
«Mi scusi, lei è il paziente della 707, vero?».
A parlare era stata una delle infermiere. Deidara si voltò, scrutandola da capo a piedi con le iridi azzurre per poi rispondere un: «Uhn».
«La stavo aspettando».
Lo condusse all’interno, in una stanza come le altre, anonima.
«Tifa to iimasu (1). Sarò la tua infermiera». Un piccolo inchino che le fece ricadere i boccoli scuri oltre le spalle.
«Iwa Deidara desu (2)», fece lui distrattamente.
La giovane sorrise, probabilmente non era la prima volta che aveva a che fare con pazienti del genere. Pose al biondo qualche domanda riguardo lo stato della parte lesa per poi sciogliere le bende. Al prendere atto delle condizioni del braccio sgranò gli occhi: era una delle peggiori ferite che avesse mai visto. Pensò bene di non illustrare la situazione al ragazzo di fronte a lei, passando praticamente al programma.
«Allora, Iwa-san. Kiite kudasai (3). Con una ferita del genere dovremmo ricostruire tutto l’avambraccio. Sarà un lavoro lungo e difficile, pertanto le chiedo di portare un po’ di pazienza. Domani stesso verrà operato, ma per la convalescenza temo dovrà restare qui per un certo periodo».
Lo sguardo id Deidara si assottigliò, ostile. Non aveva proprio voglia di sprecare mezzo mese in un ospedale. Stava già per protestare quando l’infermiera bloccò il suo tentativo di replicare.
«Onegaishimasu (4)». I suoi occhi erano castani, grandi e caldi. Probabilmente era il classico tipo che teneva davvero a chi curava. Il biondo la osservò di nuovo, fissando le iridi color cioccolato di lei. Aggrottò le sopracciglia e sbuffò irritato la conferma.
«Uhn. Va bene».
Decisamente, la sua irritazione stava per sfiorare il picco.

L’operazione era andata sorprendentemente bene visto e considerato dove era stata svolta.
“Chi l’avrebbe mai detto”, pensò sarcasticamente Deidara scrutando il soffitto candido della camera.
L’avevano imbottito di anestetici, ma sentiva un certo pizzicore ed un leggero fastidio ai muscoli che gli faceva venir voglia di stirarseli. Resistette all’impulso.
Toc Toc!
«Shitsureshimasu (5)».
Tifa-san entrò, richiudendosi la porta alle spalle e reggendo la cartella clinica dell’interessato tra le mani.
«Come si sente?».
«Niente di esageratamente doloroso».
«Ii desu nee (6)».
Si avvicinò alla flebo, controllando il sacchettino colmo di liquido e farmaci trasparenti, picchiettandolo con le dita. Deidara la osservava da sotto la frangia, ma il braccio di lei gli impediva si vederne il volto, così i suoi occhi corsero lungo il camice bianco che risaltava la vita stretta della donna e buona parte delle gambe lisce e snelle.
«Faranno effetto tra un po’, poi sentirai sonnolenza».
Uno sbuffo. Tifa lo guardò e si sporse verso di lui.
«Non posso fare niente per renderti il soggiorno più gradevole?».
Il biondo assunse un’espressione pensosa per coprire il fatto che il suo sguardo era caduto sull’allacciatura superiore del camice.
«A meno che tu non faccia saltare in aria un’ala di questa clinica, no. Niente».
Lei rise, cosa che lo irritò.
«E cosa ci sarebbe di così esilarante?».
«Non ho parlato di divertimento. L’esplosione è arte».
Gli occhi da cerbiatto di lei danzavano allegri. Il biondo non capiva se fosse davvero interessata o se amasse troppo il suo lavoro.
«In genere le persone non considerano un fungo di fumo o delle macerie “arte”», commentò serafica.
Deidara si mise sulla difensiva.
«E sentiamo, allora, cosa sarebbe l’arte, uhn?».
«La medicina».
Lui era scettico, pertanto la giovane continuò.
«L’arte è il bene ed il bello. La medicina non rispecchia forse questo?», chiese quasi sovrappensiero, allontanandosi dal lettino e dirigendosi all’uscita.
«Tornerò più tardi per monitorare le tue condizioni».
Batan!
Deidara rimase di nuovo solo mentre le palpebre si facevano pesanti.
“La medicina un’arte...?”
Si chiese perché saltavano sempre fuori pazzi che non riconoscevano le potenzialità di un incendio, del botto, del fumo e dell’odore di bruciato.
“Che assurdità”, pensò sogghignando prima di addormentarsi.

Senza che neppure avesse avuto modo di rendersene conto, Deidara aveva quasi raggiunto il termine del suo percorso di convalescenza. Tifa si occupava di lui personalmente e visto che non c’erano molti pazienti ebbero anche modo di parlare. Ovviamente il biondo omise deliberatamente di essere membro di un’organizzazione criminale qual’era l’Akatsuki, ma lei non indagò mai in faccende che riteneva troppo private. In ogni caso era incredibile quante cose l’uno dell’altra avessero scoperto in una decina di giorni, sviluppando il classico legame dottore/paziente, forse giusto un po’ più forte dato quanto avevano imparato a conoscersi.
L’ultima mattina i due passeggiavano nel piccolo parco dell’ospedale, pressoché in silenzio. Si sentivano solo gli uccelli che di tanto in tanto si posavano fischiettando sui rami degli alberi.
Deidara non vedeva l’ora di poter riutilizzare il braccio e lavorare la sua argilla esplosiva, ma non dimenticava che per guarire completamente servivano ben più di un paio di settimane e che se l’avevano tenuto lì per tutto quel tempo era solo per controllare che non si verificassero problemi coi nervi o i muscoli. Di sicuro Hidan l’avrebbe sfottuto a vita se fosse tornato col braccio ingessato e dopotutto Pein non gli aveva dato scadenze, impegnato nella cattura di altri bijuu. Dopotutto quella pausa – seppur on voluta – si stava rivelando più piacevole del previsto e il biondino era contento che non l’avrebbe trascorsa parlando con il suo io interiore.
Tifa d’altro canto era affascinata da quel paziente scorbutico e leggermente esaltato, però ammirava il suo estro artistico, anche se insolito, e quella sorta di tic che aveva, di aggiungere “uhn” al termine di ogni frase, in tono saccente, la divertiva. Senza contare che aveva anche un fisico da paura – come aveva potuto verificare quando lo aiutava a cambiarsi gli abiti: il corpo era snello, non eccessivamente muscoloso, una vistosa cicatrice campeggiava nel bel mezzo del torace, richiusa alla bell’è meglio e gli addominali del ventre perfettamente allineati. Insomma, non era affatto da buttar via e le sarebbe dispiaciuto non vederlo più.
«Senti, Deidara...».
«Uhn?».
«Visto che da stasera sarai libero di tornartene a casa, perché non ci prendiamo qualcosa insieme, per festeggiare?», buttò lì. Era un chiaro invito ad uscire.
L’interessato non ci pensò a lungo, aveva ancora mezzo mese prima di tornare e non vedeva perché non dovesse divertirsi.
«Perché no?».
Tifa sorrise allegra e lui ricambiò con una smorfia. Non era avvezzo a quell’espressione gioiosa, ma le labbra della brunetta piegate all’insù gli trasmettevano buonumore.
«Bene, allora quando stacco andiamo a farci un giro».

Inutile dire che la serata andò più che bene. Si fermarono ad una griglieria visto che per pranzo non avevano mangiato molto e bevvero saké senza preoccuparsi di contare i bicchieri.
Quando poi uscirono dal locale, le guance di Tifa erano piacevolmente imporporate e barcollava leggermente, brilla. Indicò ridacchiando a Deidara dove fosse casa sua e vi si recarono cercando di evitare di sbattere contro i muri.
Una volta dentro Tifa accese la luce, permettendo all’altro di individuare il divano e di coricarcela, per poi guardarsi intorno: era uno stabile piccolo ma accogliente ed arredato con buon gusto, cosa che lo mise a suo agio.
Si voltò quindi verso l’infermiera che respirava tranquillamente rannicchiata sul sofà.
Evitando di intenerirsi a quella visione, sbuffò e se la caricò in spalla col braccio buono, portandola in camera da letto e sistemandola sul futon matrimoniale ancora sul pavimento. La ragazza sembrò essersi accorta che non si trovasse nello stesso posto, così tirò una manica del biondo che stava per ritornare in salotto per dormire lì. Lo guardava con occhi appannati, ma il tono con cui parlò non pareva quello di una persona sbronza.
«Resta qui con me».
Un boccolo scuro le ricadde sullo zigomo, ma lei non ne parve infastidita. Lui la osservò qualche istante, memorizzando quell’espressione tra il serio ed il buffo e non poté fare a meno di trovarla adorabile.
«Va bene», concesse spegnendo la luce e coricandosi a sua volta.
Tifa si spostò leggermente, finché la sua mano non giunse a sfiorare il petto dell’altro e la sua fronte non fu a contatto con le labbra di lui. Sollevò quindi il capo e le assaggiò per un breve attimo, guardandolo dritto in quelle iridi azzurre che riuscivano sempre ad intrigarla.
Si separò poco dopo, insonnolita e bofonchiò un “Oyasumi (7)”; dopodiché si addormentò, lasciando perplesso Deidara, immobile sul fianco e con ancora la morbidezza della bocca di Tifa sulla propria. Non gli era dispiaciuto. Non gli era dispiaciuto per niente, ed era stato... dolce. Per la prima volta dopo tanto tempo stirò le labbra in un sorriso sincero e la guardò, deliziato da quel viso sereno. La strinse a sé, le dita nelle ciocche corvine e cullato dal suo profumo la seguì nel mondo dei sogni.

Il mattino seguente Deidara si risvegliò col capo della ragazza poggiato nell’incavo della sua spalla, un braccio che gli cingeva la vita. La sensazione di non potersi muovere era fastidiosa così cercò di concentrarsi sulla giovane che dormiva ancora beatamente. Il sole le illuminava il viso, facendole stringere le palpebre con più forza. Magari stava solo fingendo.
«Ehi».
«Mph», borbottò lei, sfregando la guancia contro il petto del biondo, il quale sentì uno strattone dalle parti dello stomaco, per poi scuotere la testa.
«Tifa».
Un altro sbuffo. «Che c’è?».
In effetti non c’era niente. Stranita dal silenzio si alzò lentamente, stropicciando gli occhi e puntellandosi sui gomiti, mentre con una mano copriva uno sbadiglio.
“Sembra un gatto”, pensò Deidara divertito, e lei lo fissò contrariata. “E sembra anche non ricordare nulla di stanotte...”.
«Mi hai fatta alzare, che succede?».
«Nulla, davvero. Pensavo solo che oggi dovrò andarmene... tornare a casa».
La moretta allora si riprese, mettendosi a sedere sul futon a gambe incrociate. Assunse un’espressione pensierosa, mordendosi il labbro, poi esordì.
«Senti, Deidara, io...».
Lui le coprì le labbra con l’indice, gesto che provocò una scarica elettrica in entrambi. Le iridi da cerbiatta si sciolsero un po’, le guance più rosse del solito.
«Lo so che vuoi che resti».
Lei annuì, il dito del biondo continuava a serrarle la bocca.
«Ma non lo desidereresti se sapessi chi sono».
Tifa aggrottò le sopracciglia, e con una mano scansò quella dell’altro.
«Che vuoi dire?».
“Pein non se la prenderà. Non è una kunoichi”.
«Sono un membro dell’Akatsuki».
Gli occhi dell’infermiera si spalancarono, le labbra si separarono con un leggero schiocco, aprendosi un una piccola O. Davvero non se l’aspettava, anche se era a conoscenza che fosse un ninja. Deidara attendeva una risposta, cercando di capire cosa stesse pensando, scrutandola da sotto le sopracciglia chiare. Non voleva andarsene davvero, ma preferiva essere onesto, dopotutto era per merito suo se sarebbe tornato ad utilizzare il braccio.
Poi Tifa parlò, interrompendo le sue elucubrazioni mentali.
«Dire che non mi importa è una bugia...».
“Lo sapevo”. Il biondo si preparò mentalmente a lasciare quel piccolo villaggio, ma alla fine del posto non gliene fregava granché.
«... perché non voglio che tu muoia».
“Eh?”.
Questo davvero non se l’aspettava.
«Che vuoi dire?», domandò confuso.
«Quello che hai sentito. È pericoloso, e potrebbero ucciderti mentre sei in missione o qualcosa del genere...».
Deidara sbuffò, un soffio che assomigliava ad una risata sarcastica.
«È assurdo».
«Ma vero».
Pareva davvero sincera.
«Beh, per quando sarò guarito dovrò raggiungerli».
«Non ci vedremo più».
Il biondo scosse la testa. «No».
Stettero in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri, senza sapere che erano gli stessi: si desideravano, se non sul piano psicologico ed affettivo, perlomeno su quello fisico. Tifa era il classico tipo che si affezionava ai pazienti, ma preferì evitare di immaginare la spiacevole sensazione che avrebbe sentito per un addio, e lo stesso Deidara, che si sentiva stranamente in sintonia con quella ragazza che riteneva la medicina essere un’arte.
«Allora vediamo di spendere bene queste due settimane».
«Uhn».
Si alzarono, e dopo una rapida colazione si organizzarono brevemente per la giornata, per poi prepararsi ed uscire. Prima d aprire la porta però il biondo bloccò la giovane per un braccio, sporgendosi verso di lei e baciandola piano, per un brevissimo istante. Quando si separò Tifa aveva ancora gli occhi chiuse e le labbra semi-aperte.
Non appena realizzò cos’era accaduto riaprì le palpebre e lo guardò incuriosita.
«E questo per cos’era?», domandò con un luccichio nelle iridi.
«Per esserti presa cura di me... e non farmi parlare da solo come un idiota», rispose lui vago. Lei ridacchiò, posandogli le labbra all’angolo della bocca.
«Di niente allora».



Il tempo con Tifa passava troppo velocemente. Doveva lavorare tutte le mattine, durante le quali Deidara faceva un giro in città o più spesso fuori, per allenarsi e scaricare la tensione.
All’uscita dall’ospedale facevano uno spuntino con i dango e passeggiavano. Più volte poi la moretta gli aveva chiesto di mostrarle in diretta la sua tanto amata arte e ne rimase affascinata, soprattutto quando si ritrovò ad osservare il villaggio dall’alto di un uccello di esplosivo.
«Ahah», rise una sera, dopo aver assistito alla creazione dei ragni.
«Non è divertente», la apostrofò lui.
«Sì, invece», replicò lei, scendendo con un balzo dal tronco dov’era seduta ed avvicinandosi al biondo con fare serio. Gli prese con delicatezza il braccio leso e cominciò a sciogliere le bende, rivelando la pelle lievemente arrossata ed un lieve gonfiore, ma sembrava essere integro. L’artista strinse il pugno rilassando poi le dita: sembrava perfettamente a posto.
La guardò grato, mentre lei gli allacciava le braccia al collo e si sollevava sulle punte dei piedi verso il suo viso.
«Grazie», sussurrò, prima di cingerle la vita ed appoggiare le labbra su quelle di lei, prendendo ad assaporarle con gusto, mentre faceva aderire ulteriormente i loro corpi ed intrufolava la lingua nell’altro di lei, il cui muscolo gemello si intrecciò subito con l’altro.
L’aria era calma, si sentivano solo gli uccelli, le voci dal villaggio e gli schiocchi delle loro labbra e lingue che si incontravano vogliose. Quando dovettero riprendere fiato, Tifa gli accarezzò una guancia, immergendosi nelle iridi azzurre.
«Lo sai che oggi è l’ul-... Nnh...».

Senza sapere come ci fossero finiti, i due si ritrovarono nella camera dell’infermiera, nudi ed accaldati, con una scia di vestiti sgualciti abbandonati sul pavimento al loro passaggio, intenti a baciarsi voracemente, accarezzarsi e sfregare le intimità, le loro voci erano un tripudio di gemiti.
Tifa aveva ancorato le dita alle spalle del biondo che passava le mani sui fianchi, l’addome, i seni e le gambe divaricate di lei, le lingue che assaporavano la pelle morbida e profumata. La moretta, sentendosi stimolata nelle sue parti più sensibili, si stringeva all’amante, mentre una delle mani di lui si spostava sul basso ventre della compagna, la quale, una volta che la terza bocca aveva cominciato a dedicarsi alla sua femminilità, prese a contorcersi, miagolando sotto l’artista.
«Nnh... Deidaah... rah...», ansimò, ricatturando la lingua del proprietario con la propria con irruenza. Il nukenin la stava viziando, palpandola ovunque e facendole desiderare di più.
Il biondo quindi scese lungo il collo di lei, leccandolo lentamente fino alla giugulare e succhiò forte, mordicchiandole la cute delicata finché non comparve un’evidente macchia rossa. E ancora giù, con la lingua solcò le collinette dei seni tondi ed invitanti, lappando i capezzoli inturgiditi finché non ebbe un’idea. Si tirò a sedere tra le cosce di Tifa ed armeggiò rapidamente con la cucitura del suo petto, finché le labbra dell’apertura non si spalancarono, rivelando la quarta gemella. Al vederla la giovane sentì una scarica di piacere più forte delle altre percorrerla. Era terribilmente eccitata, si sentiva già bagnata e pronta.
Deidara ridiscese con una mano lungo i seni, le anche ed il pube di lei, preparandola con una lingua, mentre con l’altra le massaggiava una collinetta, la compagna accudita dalla lingua del petto.
“Oddio...!”, era tutto quello che Tifa riusciva a pensare mentre riprendeva a giocare con la lingua di Deidara e le sue dita gli scorrevano lungo la schiena, separandosi alla vita: una prese a palpargli le natiche, l’altra oltrepassò la peluria bionda dell’internocoscia, fino ad assestarsi sul pene teso e vibrante del partner, che prese a percorrere sensualmente dalla base alla punta, sfiorandogli con l’indice il prepuzio.
«Nngh...», ansimò il biondo, separandosi dalle labbra dell’infermiera ed cessando le attenzioni che le stava dedicando per sorreggersi con i palmi sul materasso e muovere il bacino incontro alla mano di lei. Voleva venire e non poteva, trattenendosi a stento. La brunetta se ne accorse, così scivolò tra le coperte finché il suo viso non si ritrovò di fronte all’erezione dell’altro. Avvicinò le labbra al membro, aprendole e soffiando leggermente, il fiato caldo che fece tremare Deidara per il libido e lo costrinse ad intimarle di proseguire. Le bastò una lappata lenta attorno al buchino perché il biondo esplodesse, schizzandole in faccia.
«Aaah!».

Crollò, respirando affannosamente mentre Tifa risaliva, permettendogli di posare la testa sui propri seni. Gli accarezzò i capelli, mentre percepiva il clitoride pulsare, inviandole scariche di desiderio.
«Deidara...», lo chiamò con voce lasciva. «Facciamolo... adesso...!».
E da lì in poi fu puro e delirante piacere.
Il biondo le fece sollevare le gambe, le lingue sempre intente a lasciare scie umide e bollenti al proprio passaggio, e posizionò il proprio pene all’entrata dell’amante, incatenando il suo sguardo celeste con quello liquido di lei finché non vi lesse la conferma definitiva e cominciò a penetrarla non troppo piano, eccitato all’inverosimile e non ce la fece a trattenersi più di tanto.
«Aaah...!», di nuovo le loro voci si armonizzarono finché il biondo non fu completamente dentro ed iniziò spingere.
Le pareti interne di lei erano morbide, liscissime, ed il caldo assuefacente: quando usciva voleva solo rientrare nuovamente in quel paradiso mentre lei gli andava incontro e le lingue riprendevano a lavorare sul suo corpo.
Intorno a loro, su di loro, c’era solo odore di sesso, di lussuria.
Tifa spinse Deidara, facendolo stendere supino e si sedette su di lui, impalandosi, stabilendo un altro ritmo; poi il biondo tornò a dominare, finché non centrò un punto erogeno che la fece urlare.
«Deidara... ti prego... fammi tutto ciò che vuoi...», supplicò Tifa accaldata e stordita dai gemiti che rimbombavano nelle loro orecchie.
Allora i baci si fecero sempre più infiammati, le spinte veloci, energiche ed irregolari. Nessuno dei due avrebbe mai voluto smettere.
Ed infine arrivarono a toccarlo, quel piacere che tanto desideravano: un urlo liberatorio riempì la camera mentre Tifa veniva riempita dal seme dell’amante che si unì al proprio.
Deidara tremava, e con le membra vibranti crollò accanto a Tifa che gli si strinse contro, baciandolo ancora, piano, o almeno, così avrebbe voluto fare.
Stremati dal piacere i due si addormentarono, l’una tra le braccia dell’altro senza curarsi di niente.

La notte trascorse forse troppo in fretta e il biondo si risvegliò più teso di quanto avrebbe voluto. Tifa dormiva serena, la guancia posata sul suo petto, un braccio a cingergli la vita ed i lunghi capelli scuri sparpagliati ovunque.
Un sospiro: era certo che gli sarebbe mancata. Le accarezzò istintivamente il capo mentre lei cominciava a stropicciare le palpebre fino ad immergere lo sguardo in quello dell’altro. Un sorriso piccolo, accennato, che non le raggiunse gli occhi, velati invece di malinconia. Lo sapevano entrambi senza parlare, ma non avevano intenzione di sprofondare nella depressione. La moretta quindi recuperò un po’ del suo entusiasmo, saltando in ginocchio sul materasso e stampandogli un bacio sulle labbra.
«Coraggio, è ora di colazione!».



L’artista aveva un brutto presentimento da quando si era alzato, che gli stringeva le viscere e gli dava la nausea. Tifa era a lavoro e lui uscito nuovamente.
«Katsu!», ansimò esausto. Scaricava la frustrazione facendo esplodere le sue creazioni, ma non riusciva a sentirsi soddisfatto. Furente, estrasse un kunai dal porta armi e lo scagliò violentemente per terra, infilzandolo nell’erba, e si accasciò pesantemente contro il tronco di un albero.
Non aveva previsto di rimanere tanto, né che avrebbe conosciuto qualcuno, ma era accaduto e la cosa lo irritava, soprattutto perché aveva la piena consapevolezza che in fondo era anche colpa sua.
“Mattaku... (8)”.
Ad un tratto udì uno stridio simile al verso di un corvo e scattò immediatamente in posizione di difesa.
Silenzio. Nessun movimento.
Crack!
Uno schiocco come di ramo spezzato. Subito si voltò, trovandosi di fronte ad Uchiha Itachi.
«Deidara».
Il biondo sibilò contrariato e strinse gli occhi.
«Cosa vuoi?».
«Pein si chiedeva che fine avessi fatto», rispose monocorde.
Ecco cos’era quella sensazione.
«Digli che domani sarò di nuovo tra voi».
«Ti conviene sbrigarti, c’è qualcuno che devi conoscere».
«Cosa intendi?».
«Che dopo la morte di Sasori, Pein ha ritenuto opportuno che viaggiassi con un nuovo compagno».
Un cenno.
«Allora ti aspettiamo», disse, ed il corpo ammantato si dissolse, liberando uno stormo di corvi.
A quel punto l’artista si lasciò andare con un sospiro contro il tronco di un albero, scivolando lentamente e facendo scontrare il capo col legno retrostante.
Un uccello volò fuori dal suo nido quando un rabbioso pugno si infranse sulla corteccia.



Tifa correva verso di lui con un pacchettino e non appena lo raggiunse glielo ficcò tra le mani.
«Bento», spiegò, le labbra all’insù, ma il biondo non ricambiò, il viso contratto in una cupa espressione.
Il sorriso della moretta di congelò mentre una folata di vento soffiava. Chinò il capo, rabbrividendo, i boccoli scuri a coprirle lo sguardo. Pareva volersi trattenere, impedirsi di reagire esageratamente.
Deidara non muoveva un muscolo, non riusciva a parlare. Sapeva che avrebbe capito e attendeva in silenzio, mentre poco a poco Tifa si calmava, fino a risollevare lentamente il capo.
«Sai...», iniziò, e il biondo era già pronto al peggio. «... ti servirà per il viaggio», concluse e gli occhi di Deidara si spalancarono per lo stupore.
Si era aspettato accuse, pianti, dichiarazioni, invece Tifa era stata matura: era consapevole del finale che avrebbe avuto la loro storia ed aveva reagito di conseguenza. Era ammirato, Deidara, e al tempo stesso sentiva che gli sarebbe mancata moltissimo.
«Grazie».
Lei lo guardò e sorrise.
«È stato un piacere, Deidara».
«Uhn», replicò l’altro, senza badare al bento che aveva tra le mani.
«Sayoonara».
E si voltò di spalle, diretta a casa.
Il biondo sentì uno strappo dalle parti del ventre e si morse le labbra. Così si salutavano? Un addio del genere gli dava la nausea. Sarebbe stato meno sofferto forse, ma all’artista pareva solo squallido. Il cuore gli batteva furiosamente nelle orecchie, gli girava la testa.
“No... non così...”.
Cominciò a correre, sebbene l’infermiera non si fosse allontanata poi di tanto.
“Non così...”.
«TIFA!».
Lei si girò, giusto in tempo per venire accolta tra le braccia del biondo che la strinse forte, immergendo il viso nei boccoli mori della ragazza, aspirandone il profumo, mentre l’altra ancorava le dita alla maglia del nukenin.
Poi Deidara le prese il mento fra due dita e lo sollevò, portando le sue labbra alla propria altezza e le baciò delicatamente. Al contatto Tifa sospirò, avvicinando maggiormente il biondo a sé, ed il bacio si infiammò: si succiarono le labbra, le lingue, si mordicchiarono, si assaporarono finché ebbero fiato.
Infine, lentamente, si separarono e si guardarono negli occhi. Tifa strofinò la guancia contro il palmo di lui, stringendolo fra le dita, le labbra piegate all’insù dolcemente. La bocca della mano di lui le accarezzavano la pelle morbida della gota, mentre il proprietario la guardava un’ultima volta: era bella, con il viso arrossato e gli occhi lucidi, privi di lacrime.
Era il momento di andare. Si chinò nuovamente verso di lei, sfiorandole piano le labbra socchiuse ed umide più volte, ma senza approfondire. Si fermò, osservando quelle iridi calde con un sorriso sincero.
Finalmente era pronto a tornare. Un ultimo bacio e si voltò, diretto lontano da quel villaggio e da lei, nell’aria restava sospesa solo una parola dal gusto dolce-amaro.
«Sayoonara...».



10 Anni Dopo...

Tifa aveva appena spento i fornelli ed asciugato le mani.
«È pronto!», chiamò, sistemandosi un piatto nell’incavo del braccio, prendendone poi altri due e dirigendosi verso la tavola.
Dal corridoio sentì i passi del figlio che corse fino alla propria sedia e vi si sedette, impaziente.
Un uomo già era accomodato a capotavola e sorrideva al piccolo esuberante, mentre la donna posava i piatti accanto alle bacchette e si chinava a baciare il marito sulle labbra, per poi sistemarsi accanto a lui e separare i bastoncini di legno.
«Itadakimasu!».
Mangiarono serenamente, chiacchierando e scherzando.
La giovane, osservando il pargolo, pensò che era stata davvero fortunata a trovare un uomo come Ruka, lo amava davvero, la rendeva felice. Eppure...
«Kaachan, moo aru? (9)», chiese con occhi da cucciolo.
I genitori risero e lei si avvicinò col piatto del bambino verso la cucina.
«Certo, Dei-chan!».
… non aveva dimenticato quel biondo un po’ pazzo che l’aveva accusata di non capire niente di arte.



… bakatsu da!



おわり~




1Mi chiamo Tifa
2Sono Deidara
3Ascolti
4La prego
5Avanti!
6Molto bene
7’Notte
8Dannazione!
9Mamma, ce n’è ancora?


Link EFP nel titolo
 
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