SEOUL, ORE…
Seoul, ore 19:48Ero appena uscita dall'aeroporto e stavo aspettando un taxi che mi portasse all'albergo. Appoggiai la valigia a terra, rilassando il braccio che chiedeva pietà.
Un sospiro, a metà tra il malinconico e l'emozionato. Cosa ci facevo nella capitale della Corea del Sud?
Sinceramente, era per svago: avevo deciso di visitarmi Giappone e Corea da cima a fondo, così, dopo aver esplorato ogni città de Sol Levante, mi ero spostata nella penisola più a nord.
Lasciare Narita era stata una vera e propria sofferenza, come se avessi abbandonato una parte di me in quella terra bellissima. Però ero certa che vi sarei tornata molto presto, poco ma sicuro.
Rassicurata, mi portai due dita alle labbra e fischiai. Un tassista di passaggio sentì ed accostò. L'uomo scese e caricò la valigia nel bagagliaio, mentre io mi accomodavo sul sedile posteriore. Il conducente quindi entrò nella vettura, chiedendomi l'indirizzo. Ricevuta la risposta quello partì, mentre sorridevo compiaciuta per essere in grado di sostenere una conversazione in una lingua complessa ed impronunciabile qual'era il coreano.
Il viaggio fu tranquillo: osservavo le luci notturne e le strade caotiche di Seoul mentre ci avvicinavamo all'hotel. Una volta giunti a destinazione e scaricati i bagagli, ispirai profondamente. Si sentiva un'aria nuova, diversa.
Seoul, ore 20:19In albergo depositai velocemente la valigia nella camera, mi diedi una rinfrescata dopo il lungo viaggio e sfrecciai di sotto, consegnando le chiavi alla reception.
Volevo mangiare fuori, vivere la città, fare un giro per i negozi, perché no?
Camminai per un buon quarto d'ora finché non trovai un ristorante non troppo caro. Ordinai kimchee e e mentre aspettavo che mi portassero la cena osservavo le persone nella sala, lo sgusciare dei camerieri tra i tavoli, l'arredamento del locale. Quando sentii un odore speziato riportai l'attenzione sul mio posto, un piatto rossastro e fumate davanti a me. Ringraziai e cominciai a mangiare.
Oddio, era più piccante di quanto immaginassi! Ingoiai e bevvi subito un lungo sorso d'acqua.
Terminato il pasto pagai ed uscii, decisa a farmi una bella passeggiata. Era davvero rilassante lasciarsi trasportare dal ritmo cittadino, leggere le coloratissime pubblicità sugli schermi giganti, ascoltare i passanti che chiacchieravano in coreano.
Voltato l'angolo mi trovai davanti all'enorme promozione del concerto di una band che conoscevo piuttosto bene; il sorriso del leader pareva ammiccare a chiunque lo guardasse.
Ero talmente concentrata sul poster che non mi accorsi dei passanti contromano, e ci andai a sbattere contro. Riuscii a non cadere a terra solo perché venni trattenuta dal malcapitato. Cominciai a borbottare delle scuse, concitata, per poi alzare lo sguardo.
“Ok, adesso svengo sul serio”, pensai.
Davanti a me trovai un'espressione sorpresa, specchio della mia, tracciata su un volto decisamente molto attraente. Restammo qualche istante a fissarci negli occhi finché un forzato colpo di tosse ci distrasse e realizzai che il bel moretto non era solo. Il biondino accanto a lui guardò l'amico interrogativo e l'altro finalmente gli illustrò la situazione.
«Yose, ti presento Ele».
Yoseob sembrò afferrare subito e mi sorrise smagliante, con un'espressione saputa.
«Piacere, Yoseop», si presentò ironico, mentre ci stringevamo la mano.
A quel punto il moretto poté sputare la domanda che pareva stesse trattenendo da quando ci eravamo incontrati.
«Ma cosa … ?».
Quant'era tenero!
«Vacanze», risposi arrossendo, cercando senza riuscirci bene di sembrare sicura di me. Lui annuì, assorto. Mi stava per venire un infarto.
«Senti, Kik, ti lascio con lei. Ci vediamo domattina alle prove, ok?».
Ok, adesso avrei davvero voluto abbracciarlo, non fosse che pensai a Sakura-chan (1), perciò mi limitai a guardarlo con riconoscenza, mentre Kiki si dichiarava d'accordo.
Yose ci salutò e proseguì per la sua strada, lasciandoci soli. Mi rivoltai il cervello cercando qualcosa da dire, ma non riuscivo a ragionare lucidamente. Come fece lui a buttar lì qualcosa era un mistero.
«Quando sei arrivata?».
«Un paio d'ore fa».
«Sul serio?». Sembrava sorpreso. Chissà perché.
«Già».
Ci eravamo avvicinati inconsciamente.
«Allora devi assolutamente vedere Seoul! E' una città davvero bellissima!».
Era molto entusiasta.
«Lo so, domani comincerò a girare».
Scoppiò a ridere.
«Come, da sola?! Senza offesa, ma ti perderesti».
«Ehi!», parlare con lui stava diventando davvero semplice.
«Non è per te, è solo che Seoul è davvero enorme. Ti servirebbe una guida … ».
Una scintilla di speranza balunginò nel mio petto.
« … Ti spiace se ti accompagno io?».
Aveva un'espressione stupefacente in quel momento. Avrei voluto continuare ad osservare quel viso d'angelo per sempre se non avessi avuto la certezza che mi avrebbe sicuramente presa per una depravata.
«Ne sarei felicissima!», acconsentii con un gran sorriso. Non riuscii a trattenere bene l'entusiasmo. D'altro canto anche Kiki pareva di ottimo umore, come fosse stato lui a ricevere un regalo, anziché io.
«Nessun problema!».
«Perfetto! Va bene se ci vediamo domani pomeriggio, dopo le prove?».
«D'accordo. Allora fatti trovare fuori dall'edificio della K/ON Records verso le due, ok?», e mi indicò l'enorme grattacielo ad un paio di isolati più a ovest. Io annuii, senza smettere di sorridere.
«Ora devo andare, se domattina arrivo tardi alle prove non posso garantire la mia incolumità per la nostra gita di domani».
Ridemmo, io con un po' di malinconia.
«Allora … a domani … ». Non volevo lasciarlo così presto.
Non ebbi il tempo di pensare a nient'altro, perché si chinò e mi baciò una guancia.
Parecchi istanti dopo, o forse solo il secondo successivo, separò le sue labbra morbidissime dalla mia pelle e mi guardò dolcemente.
Non ci capivo più niente. Fluttuavo? Forse. Non lo avrei escluso.
«Sono davvero contento di averti rivista, Ele».
«Sì … anch'io … ».
«A domani … ».
Mi fece un cenno con la mano, un ultimo sorriso e si avviò.
«Ciao … », mormorai, ancora non del tutto conscia di ciò che stava accadendo intorno a me.
Seoul, 13:14Ok, ero in anticipo di un quarto d'ora. Non volevo ammetterlo, ma ero davvero nervosa. Dopo ciò che era successo ieri sera come avrei dovuto considerare quell'uscita? Era una sorta di … appuntamento?
Dopo essere rientrata all'albergo non ero riuscita a dormire. Quando ero venuta a Seoul non mi ero concessa di sperare di incontrarlo, sarebbe stato troppo.
Già il fatto che un paio di anni prima i B2ST avessero fatto un concerto a Milano pareva surreale, ed ancora più incredibile che io e Kiki avessimo passato i restanti due giorni del tour in giro per la città, come se ci conoscessimo da sempre. Separarsi fu davvero doloroso, sembrava passata una settimana e non pochi giorni. Invece, era trascorsa rapida come pochi secondi.
Avevo incontrato il mio idolo, ero stata con lui come nessun'altra fan. Non potevo davvero aspettarmi di più. Per questo non avevo assorbito appieno la faccenda ed avevo finito per addormentarmi alle cinque, col risultato di un risveglio piuttosto agitato e tardivo.
«Ehi!».
Evitai di sussultare.
«Ciao!». Gli ero davvero grata per aver interrotto il filo dei miei contorti pensieri. Mi sorrideva sereno, la maglietta nera a mezze maniche, aderente, non lasciava spazio all'immaginazione: i muscoli delle braccia, del torace e dell'addome erano perfettamente visibili.
«Andiamo?».
Feci cenno di sì e cominciammo a camminare uno affianco all'altra.
«Allora, come sono andate le prove?».
Passeggiammo per tutto il pomeriggio, visitando gran parte della città. I piedi non mi dolevano solo perché ero abituata a stare sui tacchi per ore senza mai sedermi. E anche se così non fosse stato, non credo l'avrei notato: Kiki era una guida fantastica: mi mostrava i templi, i musei ed imparai qualcosa anche sulla cultura … di gran lunga meglio di un depliant. Avevamo fatto un paio di break di tanto in tanto per riposarci e mangiare qualcosa.
Erano quasi le otto quando ci accorgemmo di avere una gran fame. Insistetti molto per un posticino tranquillo, ma non riuscii a convincerlo, così dieci minuti dopo mi ritrovai seduta al tavolo di uno dei migliori ristoranti di Seoul con il ragazzo – senz'ombra di dubbio – migliore.
Mi sarei presa a schiaffi da sola per tutta la timidezza mostrata la sera precedente e quel pomeriggio, tanto parlavamo con naturalezza. L'unica cosa invariata era il battito furioso del mio cuore.
La serata fu perfetta e riuscii ad evitare i piatti piccanti. Restammo lì per un'oretta emmezza, lasciando poi il locale. Cominciammo a camminare verso il mio albergo, continuando a chiacchierare. Quando raggiungemmo l'hotel mi sentii amareggiata come per l'arrivederci del giorno prima.
Non volevo lasciarlo andare, proprio non ci riuscivo.
«Ci rivediamo domani».
«Ok». Sperai non avesse notato la nota tormentata nella risposta. Feci per girarmi ma lui mi afferrò il mento tra due dita e mi diede un altro bacio, sull'altra guancia. Quando separò le labbra dalla mia pelle lo guardai, gli occhi accesi di buonumore ed emozione, mentre l'istante successivo mi stringeva tra quelle braccia forti e accoglienti.
«Non essere triste … », mi sussurrò all'orecchio, con voce dolce. Sentivo il suo fiato sul collo, mi faceva venire i brividi.
«Mi fa star male», continuò.
“No, no, NO!”. Mi sforzai di convincermi che fosse solo un sentimento fraterno, almeno da parte sua, mentre io invece ero già cotta, totalmente pazza di lui.
Rimanemmo abbracciati per un po'. Aveva un profumo magnifico e quell'abbraccio … il più bello di sempre.
Poi, lentamente, cominciò ad allentare la presa, le mani però ancora unite alle mie. Sorrise.
«Allora, ce la fai ad aspettare domani?».
«Credo di sì», risposi con un broncio divertito che gli scatenò un piccolo riso.
«Buonanotte».
E lasciò anche le mie mani.
«'Notte», ricambiai radiosa.
Seoul, circa una settimana dopo, ore 23:04Il concerto era stato davvero magnifico!
Kiki mi aveva dato i biglietti per il backstage un paio di giorni prima, scusandosi per il ritardo e per i successivi giorni dato che le prove in vista dello show avrebbero impedito di vederci. Era stato adorabile.
C'era un caos pazzesco, il pubblico non faceva che applaudire e le fan urlare il proprio amore per ogni singolo componente della band.
I cantanti ringraziarono e lasciarono il palcoscenico, raggiungendomi nelle quinte. Uno dopo l'altro Dong Woon, Hyun Seung, Jun Hyung e Du Jun sfilarono sotto il mio sguardo ammirato. Mi fecero un cenno e cominciarono tranquillamente a discutere tra loro. Poco dietro c'era Yose. Appena mi vide mi raggiunse allegro.
«Allora, com'è andata?».
«Ahah, lo so, siamo fantastici!», fece il modesto dandomi un pugnetto alla spalla. Poi con la coda dell'occhio vide l'ultimo membro del gruppo, mi fece l'occhiolino e si unì alla conversazione degli altri.
«Mmh … non male … », risposi ironica.
Finalmente potevo vedere Kiki dopo lo spettacolo. Mi stava venendo incontro quasi di corsa, con la maglia smanicata nera che metteva in risalto le sue braccia (“Ti prego, fa' che non sbavi!”) ed il torace perfetto. Era leggermente sudato, la sua pelle luccicava, ma il volto non dava l'impressione di essere affaticato, anzi, le sue labbra erano stirate in un sorriso meraviglioso e bianchissimo.
Mi abbracciò di slancio, sollevandomi da terra e facendomi girare. Sentii uno strattone da qualche parte imprecisata dell'ombelico per aver sfidato la forza di gravità. Un attimo dopo ero di nuovo coi piedi per terra, e Kiki mi teneva le mani.
«Grande concerto!», mi complimentai entusiasta.
«Grazie», e sembrava davvero lieto che mi fosse piaciuto tanto.
Restammo a guardarci negli occhi per qualche momento, senza pensare né dire niente. Riuscivo a specchiarmi in quelle iridi scure come la pece e calde come il fuoco di un caminetto, cercando di realizzare ciò che stava succedendo …
«Senti … ti va di accompagnarmi a casa?».
Annuii, senza interrompere il contatto visivo, cosa che però feci d'istinto quando si chinò a baciarmi l'angolo della bocca.
«Andiamo, allora».
Dopo aver salutato gli altri, uscimmo dal retro, dov'era parcheggiata – non potevo crederci – una R1 lucida come il petrolio. Rimasi a fissarla ammirata per un attimo, impietrita e con gli occhi da pazza.
«Tutto ok?».
«Certo, gran bella moto», sussurrai con un filo di voce, per poi accomodarmi dietro di lui, infilare il casco e stringerlo in vita per non cadere.
Kiki inserì la chiave, girò, diede gas e prendemmo a volare per le vie della città. Era velocissimo, il ringhio del motore come quello di una pantera a caccia. Il cuore mi batteva fortissimo per l'adrenalina, chissà se riusciva a sentirlo attraverso la giacca di pelle.
Seoul, ore 23:22Appena arrivati sotto il palazzo di Kiki smontammo dalla moto. Mi tolsi il casco, scuotendo i capelli schiacciati per qualche secondo. Infine, lo riappoggiai sulla sella.
«Grazie per essere venuta», disse lui, stringendomi forte una mano, guardandomi dritta negli occhi.
Il suo sguardo era pieno di riconoscenza, il volto splendente alla luce della luna.
«Non c'è di che».
Era solo una mia impressione o l'aria era diventata elettrica? Mi sentivo tremare … e Kiki era sempre più vicino …
Gli andai incontro d'istinto e le nostre labbra si sfiorarono.
Wow … le sue erano così … morbide, fresche, invitanti. Per nulla al monto avrei interrotto quel contatto. Era talmente dolce … gli lasciai la mano e risalii fino al suo petto, sentendo i pettorali invidiabili sotto i polpastrelli, e poi gli cinsi il collo, stringendo leggermente i ciuffi di capelli corvini della nuca tra le dita, mentre lui allacciava le braccia alla mia vita, accarezzandola piano, attirandomi a sé.
Le emozioni che stavo provando erano indescrivibili, fortissime, sconvolgenti. Kiki prese a succhiarmi leggermente il labbro inferiore, sensualmente, per poi intrufolare la lingua nella mia bocca. La gemella le andò incontro senza esitazioni, trepidante, accarezzando la sua, assaporandola con calma …
Era così naturale, non c'era alcun imbarazzo, ma solo un gran bisogno. E, Dio!, Kiki era così perfetto in quel momento …
Quando la fastidiosa necessità d'aria si fece impellente ci separammo lentamente, con un leggero schiocco, per poi guardarci negli occhi un istante. Solo uno, perché non avevamo finito di saziarci l'uno dell'altra, perciò tornammo ad assaggiarci. Una delle sue mani s'infilò sotto la mia maglia, calda a contatto con la mia schiena. Rabbrividii mentre facevo aderire meglio i nostri corpi e lui mi strinse ancora, voglioso, dolce, spontaneo.
Ci fu uno scontro di lingue, di labbra, di sguardi, finché non ci separammo di nuovo, il respiro affannoso.
«Vieni», sussurrò rauco, prendendomi per mano.
Con l'altra aprì velocemente il portone ed in un lampo entrammo in ascensore, premendo il pulsante del trentesimo piano.
Mentre ci avvicinavamo all'appartamento era come se non potessimo fare a meno di baciarci. Dopo aver abbassato la maniglia dell'ingresso con il gomito, mi prese in braccio di slancio, tenendomi saldamente le cosce. Allacciai le gambe alla sua schiena e le braccia al collo, continuando a giocare con le nostre bocche.
Un calcio e la porta si richiuse. Per tutto il tragitto fino alla camera da letto non pensai minimamente a guardarmi intorno e mi separai da lui solo quando sentii il materasso sotto di me. Realizzai che mi trovavo in una stanza quadrata dai muri bianchi. Due pareti – quelle di fronte alla porta e al letto – erano vetrate, sotto di noi la città scintillava di luci notturne.
Era davvero bello.
Un movimento ai margini del mio campo visivo mi fece riportare l'attenzione sul ragazzo, che mi sorrise e si chinò verso di me. Afferrai con una mano la sua maglia nera, attirandolo a me, intrappolando le sue labbra tra le mie. Lui seguì i miei movimenti, inginocchiandosi sopra di me, tenendosi in equilibrio facendo leva sulle braccia. Solo al pensiero dei suoi bicipiti flessi sentii l'eccitazione salire. Sollevai il bordo della sua canottiera scura, tirandolo più in alto che potevo. Kiki si mise un attimo a sedere, sfilandosela, per poi fare lo stesso con la mia t-shirt.
Circondai le sue spalle muscolose, sdraiandomi, mentre facevo scorrere le mani lungo la sua pelle tesa e liscia, fino a raggiungere i suoi jeans. Spostai le dita sull'allacciatura, armeggiando col bottone e la zip mentre continuavamo a baciarci. Sentii il metallo sfilarsi dall'asola e seppi che ce l'avevo fatta. Abbassai pantaloni e boxer senza vergogna o imbarazzo, mentre Kiki imitava i miei movimenti.
Liberatami anche del reggiseno, rimanemmo nudi, fissandoci negli occhi, vogliosi, per qualche istante, finché ancora non ricongiungemmo le labbra con calma. Poi scese sul mio collo, leccandolo e suggendolo piano, lasciandomi una scia incandescente e bagnata.
Non avevo idea di quando avessi preso ad ansimare mentre giocavo con le sue ciocche corvine e la sua bocca scendeva, lasciando il collo per stuzzicare qualcos'altro. Passò le labbra delicate e la lingua sulle collinette dei miei seni, stringevo forte la mascella per non emettere suoni imbarazzanti. Quando però prese in bocca un capezzolo, accarezzando l'altro con la punta delle dita, non resistetti più.
«A-ah … », non avevo mai sentito la mia voce così rauca.
Non so per quanto tempo continuò quell'idillio, nemmeno quando invertì le labbra e la mano, o quando, abbandonati i capezzoli ormai turgidi, iniziò a giocare con il mio ombelico, penetrandolo sensualmente con la lingua. Mi inarcai sotto di lui, gemendo forte. Non riuscivo più a controllarmi, mentre con le mani mi separava e sollevava le gambe, per poi baciare dolcemente il clitoride.
« A-ah … Ki … ki … ».
Mioddio. Se in quel momento il godimento era tale, non riuscivo ad immaginare quanto ne avrei provato dopo.
Sentivo il sangue concentrarsi nelle guance e nella mia intimità, il cuore che batteva furiosamente e seppi che se non volevo venire subito dovevo direzionare la bocca di Kiki altrove. Così, tirandogli leggermente i capelli, riportai il suo volto sul mio, per poi intrecciare labbra e lingue in una danza tremendamente erotica. Continuavo a tenere braccia e gambe allacciate a lui, sentivo premere il suo membro contro la mia femminilità e mi si rivoltarono gli occhi dal piacere.
Quando ci separammo per riprendere aria, ne approfittai per soddisfare anche lui, scivolando sul copriletto fino a raggiungere la sua erezione. Sollevai appena il collo, baciando la punta, per poi circondarla con le labbra.
«A-ah! … », sorpreso, il gemito gli morì in gola, strozzato, mentre si reggeva per non crollare sul materasso. Continuai ad accogliendo in bocca, poco alla volta, tutta la lunghezza, fin dove la mia cavità orale potesse permetterlo, raggiungendo la base con le mani, sfiorandola appena. Lo sentivo contrarsi e inizia a pompare. Succhiavo e lappavo la sua virilità d'istinto, senza essere completamente cosciente di ciò che stavo facendo. Iniziò a venirmi incontro coi fianchi, un fiume di erotici gemiti che sfuggiva alle sue labbra tentatrici. Man mano che lo stimolavo lo sentivo ingrossarsi.
«Ah … E-Ele … sto per … », strinse i denti ma capii al volo cosa intendeva.
Scese fino a raggiungermi, mentre mi appoggiavo sui cuscini appena rialzati, sollevando le gambe ed allacciandogliele in vita.
Kiki portò due dita alla mia bocca. Schiusi le labbra, succhiando ad occhi chiusi e sentivo ansimi veloci da qualche parte sopra di me. Ritrasse poi le dita, facendole scorrere lungo il mio ventre fino ad arrivare alla mia entrata. Premette piano, intrufolandole con calma in me. La mia mano scattò alla mia bocca, per impedire che ne uscisse anche solo un suono di godimento o dolore che fosse, le palpebre serrate. Percepii che si era fermato, ma non feci niente. Qualche secondo dopo, che parve interminabile, mi abituai all'intrusione. Annuii e sentii le falangi affondare ancora un po'. Mugugni soffocati sbattevano contro il mio palmo, mentre il fastidio iniziale si trasformava in qualcosa di ben più piacevole. Di scatto tolsi la mano dalle labbra, ansimando in modo osceno.
«A-adesso … ! Ah! … ».
Le dita vennero ritirate. Gemetti vogliosa, quando l'istante successivo la punta della sua virilità si faceva strada in me.
«Dio! … Aah! … ».
Stringevo convulsamente gli occhi, mentre le mani torturavano la coperta.
Kiki entrò poco per volta finché non fu tutto dentro. Il suo calore era incredibile.
A quel punto cominciò a spingere, ritirarsi e riaffondare, mentre ansimavamo senza controllo. Lasciai il copriletto, allacciando per l'ennesima volta le braccia al suo collo, per poi baciarlo con passione. Lui rispose con altrettanto coinvolgimento, succhiando la mia lingua tra le labbra, stuzzicandomi, mentre il mio corpo si tendeva come un arco per andargli incontro.
Ad un tratto sentii venire sfiorato un punto in me che mi fece emettere un urlo di piacere più forte degli altri.
«A-ancora … lì … aaah!».
Kiki uscì, spostandosi un po' per migliorare l'angolazione e riaffondò, centrando la stessa zona di prima.
«Aaah! … Oddio! … », proruppi. Le spinte si fecero sempre più veloci ed irregolari mentre ci avvicinavamo all'orgasmo.
«A-aaah! … Ele!».
Sentire la sua voce così eccitata mi fece raggiungere il limite e venni, gettando la testa all'indietro, un lungo gemito che fuoriusciva dalle mie labbra. Kiki mi raggiunse con la spinta seguente, ansimando altrettanto forte. Mi sentii inondata del suo liquido caldo, prima che lasciasse il mio corpo e si sdraiasse accanto a me, stringendomi contro il suo petto favoloso. Sentivo la sua pelle leggermente sudata, il suo cuore che batteva rapidissimo, il respiro affannoso nell'orecchio.
Poco per volta riprendemmo a respirare regolarmente, mentre le nostre palpebre si chiudevano e ci abbandonavamo al sonno.
Seoul, mattino seguente, ore 9:03Sentivo il sole sul viso già da un po', ma mi ostinavo a tenere gli occhi serrati, pigramente. Quando però un raggio più prepotente si fermò sulla palpebra chiusa li aprii, infastidita.
Per prima cosa sentii l'odore di Kiki accanto a me e strofinai il naso contro la sua spalla, come un cucciolo. Una mano gentile mi andò ad accarezzare i capelli così alzai lo sguardo finché non incontrai il suo che sorrideva sereno. Il sole giocava con la sua pelle, creando dei fantasiosi ghirigori di luce. Era perfetto anche appena sveglio.
«Buongiorno».
Ah, quanto avrei voluto rispondere! Ma la mattina proprio non riuscivo a parlare; mi limitai ad un sorriso forzato. Lui mi baciò le labbra con uno schiocco, per poi alzarsi a sedere. Sbadigliò, stiracchiandosi come un gatto.
Misericordia, per poco non gli saltavo addosso alla vista di tutti quei muscoli in tensione.
Terminato, si voltò verso di me.
«Fame?».
Annuii e lo seguii fuori dal letto, realizzando troppo tardi che eravamo ancora entrambi nudi. Arrossii furiosamente, guardando altrove e cercando di coprirmi. Il sorriso di Kiki si ampliò, per poi scomparire alla mia vista quando si chinò per raccogliere le mie mutandine e la sua canottiera nera. Me le lanciò, ed io le afferrai al volo, mentre lui estraeva dalla pila di vestiti abbandonati i boxer e se li infilava.
Lo imitai, sentendo il profumo della maglietta smanicata. Mi prese la mano e mi portò in salotto.
W-O-W!
Sulla destra c'era un enorme divano di pelle nera con tanto di penisola e puff, su un gigantesco tappeto a moquette del medesimo colore che ospitava anche un tavolino basso in vetro. Sulla sinistra un impianto stereo con mensole e porta CD strapieni. Di fronte, una libreria a muro con ripiani vetrati. Alla destra di questa, una TV al plasma da parecchi pollici appesa al muro. Sotto, un mobiletto con i telecomandi ed un paio di consolles.
Tutta la parete a destra del divano era un'unica grande vetrata scorrevole che dava su un balconcino.
Probabilmente mi luccicavano gli occhi. Sentii un leggero strattone al braccio ed alzando il capo vidi l'espressione divertita di Kiki. Costrinsi le mie gambe a muoversi e lo seguii oltre il salotto. Credevo che nell'angolo verso il quale ci stavamo dirigendo ci fosse solo la porta d'ingresso, invece in una rientranza sulla sinistra spuntavano delle tendine chi chiaro legno intrecciato che precedevano la cucina.
Era moderna, col forno alto ed una grande isola centrale che fungeva in gran parte da tavolo, tranne che per una delle estremità, dove vi erano i fornelli. Kiki mi fece cenno di accomodarmi ed io presi posto su uno degli sgabellini, mentre lui apriva una delle antine degli armadietti a muro, estraendone dei muffin al cioccolato. Ne prese uno, mentre io facevo altrettanto. Fissai il dolcetto per un attimo e poi alzai gli occhi verso di lui.
«Ti dispiace se mangiamo di là?», finalmente parlai.
Morivo dalla voglia di sedermi su quel fantastico divano di pelle nera e lucida, sentir scricchiolare il cuoio quando vi avrei preso posto …
«Certo».
La sua voce era tranquilla, rilassata.
Tenendomi per mano mi portò nuovamente in salotto. Quando salii sul tappeto mi lasciò, mentre mi guardavo intorno trepidante, cercando di decidere dove sedermi, le nude dita dei piedi che sfregavano contro il pelo soffice della moquette.
Arricciai le labbra, aggirai il tavolino e mi sparapanzai sulla penisola, gemendo internamente al suono che produsse il materiale quando schiacciai il cuscino.
L'istante dopo Kiki era accanto a me, un braccio attorno alle mie spalle e la confezione di muffin in grembo. Allungai una mano, afferrando il dolcetto e lo portai alla bocca, addentandolo con gusto. Lui sorrise e cominciò a mangiare. Appoggiai il capo nella conca creata dalla sua clavicola, e lui spostò il braccio attorno alla mia vita, accarezzandola, creando degli arabeschi col pollice.
Era davvero buono, quel muffin. SE non fosse che ero abituata a non ingozzarmi, l'avrei divorato in un lampo.
Mentre le ultime briciole si scioglievano sulla lingua, accartocciai la cartina, depositandola nella scatola, a far compagnia alle altre.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, senza alcun disagio. Poi parlai.
«Oggi che facciamo?». Kiki rise, sentii il suo petto vibrare.
«Veramente … », cominciò, in tono sospensivo. Mi voltai verso di lui, curiosa.
« … A qualcosa stavo pensando … ».
Mi prese delicatamente il mento tra due dita ed appoggiò le sue labbra sulle mie, piano. Ricambiai il bacio, sorridendo, prendendo ad assaggiarle, succhiando e leccando quella carne morbida finché la sua lingua non intercettò la mia, coinvolgendola.
Un'altra scarica e senza smettere di baciarlo mi sedetti in braccio a lui, le mie gambe attorno al suo bacino,, le dita che gli sfioravano la nuca. Era così piacevole …
TOC TOC!
Kiki aggrottò le sopracciglia, ma anziché farmi alzare, infilò le mani nei miei capelli, attirandomi a sé, baciandomi con più passione.
TOC TOC TOC!
Mi stavo irritando. Quanta insistenza! Kiki sembrava dello stesso avviso.
TOC TOC TOC TOC!
Stavolta ai colpi si unì una voce infastidita.
«Kikwang, se non apri subito sfondo la porta!».
Allora ci separammo. Sbuffò e mi fissò leggermente colpevole, per poi farmi un cenno. Mi lazai, ritornando sulla penisola, mentre Kiki raggiungeva la porta. Questa venne spalancata e mostrò il volto corrucciato di Dong Woon, il quale superò l'amico e si fermò al centro della sala.
Nonappena mi vide fece un sorrisetto. Ricordandomi com'ero conciata, arrossi e salutai con la mano.
Quindi il ragazzo si rivolse all'altro.
«Ah, ecco perché sei in ritardo per le prove!».
Kiki sembrò realizzare ciò che stava dicendo il Dong Woon. Eppure non pareva convinto.
«Dopo i concerti non proviamo mai, però».
«Già. Ce l'ha detto ieri sera la casa di produzione, ma tu te n'eri già andato, così ti abbiamo mandato un messaggio ...».
Kiki mi guardò. Il cellulare era stato completamente dimenticato. Mi raggiunse, riaccomodandosi al mio fianco, per poi fronteggiare l'amico.
«Lei è Ele».
La presentazione mi prese alla sprovvista. Lo guardai stupefatta, prima lui e poi Dong, che s'introdusse a sua volta.
«Dong Woon, piacere».
Annuii e sorrisi, ancora in imbarazzo.
«Comunque muoviti, se non vuoi incorrere nelle ire degli altri … beh, a parte Yose … ».
«D'accordo, arrivo. Aspettami giù».
Il Dong Woon annuì, uscì e si richiuse la porta alle spalle. Kiki quindi si voltò verso di me.
«Scusa», scossi la testa.
«Tranquillo», lo rassicurai.
Ci andammo a vestire ed una volta pronti scendemmo. I due mi diedero uno strappo in albergo (un bacio di Kiki sostituì il comune “ci vediamo più tardi”) e salii in camera.
Seoul, una settimana dopo, ore 18:57Eravamo all'aeroporto. Kiki mi reggeva una delle valigie (l'altra l'avevo io). Dovevo fare il check-in e non riuscivo a dare un passo. Davanti a me c'erano i metal detector, nel mio petto un macigno pesantissimo. Stringevo convulsamente la mano di Kiki, mordendomi le labbra, e probabilmente avevo anche le sopracciglia aggrottate.
Non ce la facevo. Non potevo lasciare Kiki, non ora! Ma la mia carriera mi aspettava. WI?! (2), i miei film, le mie serie, i miei libri … dovevo andare.
«Ele … », sentii la stretta farsi più forte. Non era doloroso, ma sentire tanto affetto in quella presa faceva male. E parecchio.
Feci un respiro profondo. Dov'era tutto il mio coraggio? La mia determinazione? Da qualche parte dentro di me, all'improvviso, le risentii e mi portai di fronte al ragazzo che mi affiancava. Lui mi sorrise malinconico.
«Giuro che ci vedremo ancora», mi promise ed io annuii fiduciosa.
Mi alzai in punta di piedi e le nostre labbra si unirono per l'ennesima volta.
«Ciao», sussurrai.
«Ciao».
Lasciai la sua mano lentamente, gli sfilai l'altra valigia e mi incamminai verso le guardie, mentre ero certa che il suo sguardo fosse ancora puntato su di me.
La lucina in cima alla struttura metallica lampeggiò di verde, ritirai i bagagli e mi girai un'ultima volta verso di lui, salutandolo con un sorriso sereno, che ricambiò.
Quindi mi voltai e superai la curva che mi avrebbe condotta ai fingers.
Los Angeles, un anno dopo, 20:00Avevo appena finito di asciugare i capelli.
All'improvviso sentii suonare il campanello e sbuffai. Non era un po' tardi per le visite?
Infilai la vestaglia che avevo lasciato sulla poltrona, la allacciai e mi diressi alla porta, chiedendo chi fosse. La risposta fu pronunciata in un inglese dall'accento strano.
«Un amico».
Pensai a Luca (3), ma mi aveva detto che quella settimana sarebbe tornato dai suoi …
Aprii, curiosa e sospetta, solo per rimanere senza fiato.
«Cos- … ?».
Non mi ero accorta che stavo avendo la sua stessa reazione di quando ci eravamo incontrati a Seoul, perciò non capivo perché il suo sorriso si stesse allargando.
«Ehi», mi salutò.
Indietreggiai, facendolo entrare, mentre cercavo di accettare che fosse davvero lì.
E poi mi abbracciò, così stretta che il cuore mi partì in tangente. Ricambiai appoggiando la testa sulla sua spalla, felicissima. Lui mi diede un bacio sui capelli e cominciò a cullarmi tra le braccia.
«Bentornato», dissi, incoerente dal momento che non veniva da Los Angeles. Eppure mi venne spontaneo.
Allentammo la presa e ci guardammo negli occhi, entrambe le paia scintillavano.
Mi sfiorò il naso col proprio, prima di appoggiare le labbra sulle mie.
OWARI~Sakura-chan (1): soprannome di un'amica della protagonista
WI?! (2): serie inventata dalla protagonista
Luca (3): amico della protagonista e mio
Link alla fic EFP nel titolo